Dopo la chiusura della scorsa ottava, caratterizzata dalle decisioni sui tassi da parte delle principali banche centrali, abbiamo la netta percezione che la maggioranza di analisti, investitori e operatori di mercati, cominci a cambiare il sentiment e la fiducia verso il futuro, passando da cauto ottimismo ad un pessimismo che per ora è latente ma che potrebbe divenire qualcosa di più importante nel breve medio periodo, soprattutto se le banche continueranno a mantenere un atteggiamento restrittivo nei confronti dell’inflazione e di conseguenza dei tassi.
Se è vero che l’inflazione risulta in calo quasi dappertutto, è altrettanto vero che per i banchieri centrali questi cali non sono ancora sufficienti e minaccino nuovi rialzi. Fino ad ora i mercati azionari hanno retto il colpo, ma nelle ultime sedute le price action hanno evidenziato un’accelerazione del ribasso che, avendo creato dei massimi decrescenti, cominciano a fornire dei segnali di peggioramento del quadro tecnico. La conferma, ovviamente, si avrebbe, con la rottura dei minimi precedenti che per i listini americani, non sembrano molto lontani.
A far scendere i listini americani hanno contribuito i dati di venerdì relativi ai PMI, usciti peggiori del consensus, con il Composite uscito a 50.1 (inferiore al 50.2 precedente). Anche il settore dei servizi e manifatturiero hanno evidenziato una flessione, segnalando una stagnazione dell’attività di tutto il settore privato.
Per la Fed questi dati non sono sufficienti a decretare la fine del ciclo dei rialzi del costo del denaro ma, osservando il recente passato (quando con eccessivo ritardo ci si accorse della salita dell’inflazione), temiamo che anche questa volta ci possa essere il rischio di arrestare troppo tardi la politica restrittiva, con conseguenze significative sugli aggregati macro.
VALUTE
Sul mercato dei cambi il dollaro la fa ancora da padrone. Nel corso delle ultime 10 settimana la moneta unica ha infatti ceduto circa 640 pip (il 6.1% circa). La sterlina ha subito una flessione del 7.3%, passando da 1.3142 a 1.2230. Da segnalare anche il movimento del UsdJpy che dal minimo del 10 luglio a 137.24, è salito più di 1100 pip, pari al 7.5%.
Il dollaro è salito come valuta rifugio ma anche per la debolezza delle altre valute, perché i dati in Europa e UK hanno mostrato estrema debolezza, in un contesto comunque inflattivo, con BCE e BoE che hanno preso decisioni diverse sui tassi (la BCE ha alzato, la BoE no) ma che hanno rilasciato dichiarazioni favorevoli a ulteriori rialzi dei tassi.
Che cosa potrà accadere ora sul valutario? La sensazione è che il dollaro possa continuare la sua corsa, pur avvicinandosi a importanti livelli di resistenza che non sarà facile violare. Il Dollar Index è vicino all’area di 105.50 la cui violazione potrebbe addirittura far pensare ad un’altra salita del 2%, anche se la condizione di ipercomprato e la presenza di divergenze ribassiste sui grafici di breve potrebbero innescare qualche correzione. Molto dipenderà dai prossimi dati macro.
Questa settimana avremo dati di media importanza dagli Stati Uniti, con le spese e i redditi personali, l’indice PCE, l’ultima lettura del Pil del secondo trimestre e i dati relativi al mercato immobiliare. Altrove avremo l’inflazione per i quattro grandi paesi europei, l’Ifo e le vendite al dettaglio tedesche, nonché la fiducia dei consumatori. Ma attenzione anche ai dati giapponesi su vendite al dettaglio, produzione industriale, tasso di disoccupazione e verbali della BoJ. Non sappiamo se saranno sufficienti a modificare il quadro attuale ma certamente ci sarà volatilità.
Buona settimana e buon trading.
Saverio Berlinzani
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